Premessa.
La sindrome dell’intestino irritabile o IBS (Irritable bowel syndrome) è una condizione patologica diffusa a livello globale e di componente multifattoriale la cui sintomatologia, sovrapponibile spesso ad altre condizioni morbose, può incidere in maniera importante sulla qualità di vita dell’individuo.
Un corretto e ben oculato approccio alimentare seppure non curativo può sicuramente apportare benefici a tutti quei soggetti che soffrono di questa problematica.
Cos’è la sindrome dell’intestino irritabile?
Già conosciuta come colon irritabile o colite spastica, l’IBS si caratterizza per fastidio e dolore addominale con gonfiore e sensazione di pancia gonfia, meteorismo e irregolarità dell’alvo; in quest’ultimo caso si possono considerare tre sottogruppi a seconda che vi sia una prevalenza di stipsi (IBS-C) o di diarrea (IBS-D) o un’alternanza delle due (IBS-M).
Tra i fattori di rischio predisponenti e accertati vi sono:
- condizioni personali: sesso femminile, età compresa tra i 20 e i 50 anni
- condizioni psicologiche: ansia, depressione, stress e bassa qualità di vita
- condizioni fisiche: infezioni gastrointestinali, obesità addominale, endometriosi, malattia diverticolare, chirurgia addominale, uso di antibiotici
- condizioni sociali: stato socioeconomico, situazioni familiari complesse (e.g. abuso di stupefacenti o patologie psichiatriche).
Altri fattori predisponenti di cui si hanno meno evidenze scientifiche sono: basso peso alla nascita, allattamento inferiore ai 6 mesi, basso indice di massa corporea, scarsa attività fisica, condizioni lavorative precarie.
Considerando la distribuzione a livello geografico non ci sono elementi che possano ricondurre l’insorgenza della patologia solo ed esclusivamente ad uno “stile alimentare di tipo occidentale” che, come noto, è piuttosto orientato verso un consumo maggiore di alimenti pro-infiammatori (e.g. carni rosse e conservate, junk food); infatti paesi come Stati Uniti, Italia, Francia e Germania mostrano una prevalenza a livello di popolazione compresa tra il 5% e il 9% che è la stessa di paesi orientali come India e Cina ed è addirittura inferiore rispetto al Giappone (10-15%). Paesi invece come Canada, Messico, Svezia e Russia presentano una prevalenza tra il 15% e il 30%.
Tutto ciò porta a pensare quanto sia importante e anche determinante la componente sociale, psicologica e genetica individuale in questo tipo di malattia.
Oltre alla sintomatologia classica accennata in precedenza l’IBS spesso si presenta in associazione con altre condizioni morbose come reflusso gastroesofageo, dispepsia funzionale, cefalea, insonnia, debolezza ed in alcuni casi mostra sintomatologia sovrapponibile a malattie autoimmuni come morbo di Crohn, colite ulcerosa e celiachia, anche se queste ultime possono essere escluse in sede diagnostica con l’utilizzo di biomarker specifici.
Diagnosi.
Per diagnosticare la presenza di IBS si utilizzano dei criteri ben definiti che prendono il nome di criteri di Roma IV. In base a questi criteri la sensazione di dolore o fastidio addominale accompagnata da irregolarità dell’alvo deve innanzitutto essere stata presente per i sei mesi antecedenti la diagnosi e per almeno tre volte al mese negli ultimi tre mesi, inoltre a tale condizione devono associarsi almeno due dei seguenti sintomi:
- miglioramento sintomatologia dopo l’evacuazione
- modifica iniziale della frequenza delle evacuazioni
- modifica iniziale dell’aspetto delle feci.
L’approccio diagnostico è quindi nella maggior parte dei casi basato su un’anamnesi attenta del paziente che comprende situazione clinica e profilo sintomatologico.
A volte in presenza di ulteriori complicazioni o fattori allarmanti come perdita di peso importante negli ultimi tre mesi, presenza di tracce ematiche nelle feci, storia familiare di patologie gastrointestinali (tipo celiachia o cancro colon-retto), si possono richiedere specifiche analisi cliniche come calprotectina fecale e dosaggio sierologico per la malattia celiaca oppure analisi più invasive come la colonscopia.
Dieta.
L’approccio nutrizionale può sicuramente aiutare chi soffre di questa problematica. È necessario prima capire lo stile alimentare e quindi individuare eventuali fattori di rischio presenti già nella dieta; questi ultimi sono per lo più associati a cibi qualitativamente scarsi o che presentano componenti pro-infiammatorie che enfatizzano la sintomatologia tipica dell’IBS.
Un approccio dietetico generico porta a limitare il consumo di zuccheri semplici, carni conservate, bibite zuccherine e gasate, oli di scarsa qualità, fritture, alcolici, spezie irritanti (e.g. pepe, peperoncino, zenzero) e già questo può rappresentare una buona strategia. Qualche riserva invece rimane per quanto riguarda il consumo di fibre dal momento che in alcuni casi come nella IBS-D si potrebbe verificare un aggravamento della sintomatologia; di contro l’utilizzo di fibre insolubili nella IBS-C potrebbe, anche se non è una garanzia, portare a buoni risultati.
Se consideriamo invece un approccio più specifico allora dobbiamo fare riferimento a diete ad hoc e su cui sono stati fatti importanti approfondimenti scientifici, una di queste è la dieta FODMAP.
Dieta FODMAP.
Negli ultimi anni è aumentato l’interesse verso questo tipo di approccio dietetico che prevede la limitazione se non addirittura l’eliminazione di alcuni alimenti le cui componenti principali sono state indicate come possibili “aggravanti” la sintomatologia dell’IBS.
Queste componenti, o meglio molecole, sono note appunto come FODMAPs acronimo di Fermentabili Oligosaccaridi (e.g. fruttani e galattani), Disaccaridi (e.g. lattosio), Monosaccaridi (e.g. fruttosio) e Polioli (e.g. sorbitolo, mannitolo, xilitolo). I FODMAPs sono parte fondamentale della alimentazione classica soprattutto di tipo mediterraneo e una loro eliminazione porta appunto a escludere dalla dieta comune importanti fonti alimentari come legumi, frumento, buona parte della frutta, oltre a molti vegetali e latticini. Nello specifico alcuni alimenti da evitare sono:
- asparagi, aglio, cipolla, crauti, barbabietole, broccoli, cavolini di Bruxelles, cavolo e cavolfiore, finocchi, fagiolini, funghi, porri, radicchio, scalogno e verza
- anguria, mele, albicocche, ciliegie, fichi, mango, pesche, pere, susine, prugne, cachi, nespole, more, avocado
- frumento, segale, orzo, kamut, altri derivati industriali del frumento come cracker e grissini
- prodotti di pasticceria, succhi di frutta, alcolici e superalcolici, caffè d’orzo, dolcificanti artificiali (e.g. sorbitolo, xilitolo, mannitolo)
- tutti i legumi come soia, ceci, fagioli, lenticchie e piselli
- frutta secca (e.g. mandorle, noci, anacardi, pistacchi), datteri e fichi secchi
- cioccolato al latte, latticini, latte vaccino ma anche di pecora e capra, yogurt, gelati.
Gli alimenti esclusi sono tanti, tra cui molti hanno un’importanza nutrizionale non sottovalutabile, basta pensare alle implicazioni benefiche che i legumi hanno sul trofismo della comunità batterica oltre alle interazioni metaboliche di molecole come lecitina e fibre solubili, inoltre un ridotto consumo di vegetali e frutta può portare a deficit vitaminici (e.g. acido folico e vitamina C).
Sta di fatto che la limitazione di questi prodotti ad alta fermentazione sembra porti un beneficio non trascurabile anche in termini di qualità di vita a chi soffre di IBS. Non deve essere però una scelta autonoma ma tale approccio dietetico deve essere valutato da un professionista del settore (e.g. biologo nutrizionista, dietologo o dietista) alla luce del fatto che, come anche detto precedentemente, si possono verificare carenze nutrizionali e squilibri alla flora batterica eubiotica che necessitano di un intervento supplementare con opportune integrazioni appunto vitaminiche o di probiotici e/o prebiotici.
Integrazione.
Un’integrazione a base di probiotici o prebiotici o fibre potrebbe apportare benefici a chi soffre di IBS, uso il condizionale in quanto è necessario premettere che fino ad oggi non ci sono pareri scientifici unanimi riguardo a un tale approccio.
L’intestino umano è caratterizzato da una variabilità enorme di specie batteriche che in un individuo sano ma anche malato rispettano una certa proporzionalità, in ogni caso interferire con un sistema complesso e unico per ciascun individuo (si stima la presenza a livello intestinale di circa 400 specie batteriche e migliaia di miliardi di singole unità) può portare sia ad un miglioramento della situazione generale ma anche ad un peggioramento.
L’assunzione di fibre insolubili, per esempio, ha mostrato dare prevalentemente buoni risultati nella IBS-C ma un peggioramento della sintomatologia nella IBS-D, così come le fibre solubili, in particolare il Psyllium, hanno mostrato risultati soddisfacenti in pazienti con solo IBS-C.
A livello di prebiotici, cioè di quelle sostanze (e.g. frutto-oligosaccaridi o FOS, inulina) non digeribili che promuovono la crescita e lo sviluppo di più specie batteriche ritenute benefiche, non si hanno studi ben solidi a disposizione ma si è quasi certi sul fatto che una loro assunzione apporta più effetti positivi che negativi.
L’utilizzo dei probiotici, che sono batteri vivi che alterano e competono con una flora batterica intestinale generalmente compromessa, deve essere invece molto oculato in quanto un loro errato utilizzo potrebbe aggravare la sintomatologia soprattutto in pazienti con IBS-D. Buoni risultati sembrano invece riscontrabili in pazienti con IBS-C e IBS-M attraverso l’utilizzo di ceppi di Lactobacillus (e.g. Lactobacillus plantarum), Streptococcus (e.g. Streptococcus faecium), Bifidobacterium (e.g, Bifidobacterium infantis e longum).
Conclusione sulla dieta per colon irritabile
L’IBS è una condizione piuttosto snervante da un punto di vista fisico e anche psicologico, risulta perciò importante porvi rimedio o comunque cercare soluzioni adatte al fine di migliorare la propria qualità di vita. Un corretto approccio alimentare può essere di grande aiuto, perciò qualora fossi interessato ad un piano alimentare personalizzato ti invito a contattarmi per una prima consulenza.

Trasferito a Udine nel 2012 come assegnista di ricerca presso l’omonima università, ho conseguito nel 2015 a Roma un master della NUTRIFOR in Nutrizione e Alimentazione Umana decidendo di intraprendere la via della libera professione. Mi chiamo Mauro Meloni e svolgo la libera professione a Udine come Biologo Nutrizionista. La mia formazione accademica è iniziata a Cagliari, città in cui sono nato nel 1976 e dove ho conseguito la laurea in Scienze Biologiche (2003). Successivamente (2007), ho ottenuto il titolo di Dottore di Ricerca (PhD) in Microbiologia e Virologia.