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Osteoporosi: un aiuto dall’alimentazione

Nell’osteoporosi sapere che cosa mangiare è di fondamentale importanza anche in un’ottica di prevenzione. Vediamo, dunque, qual è il regime alimentare consigliato e quali sono gli alimenti e le abitudini che è meglio evitare o limitare.

Che cos’è l’osteoporosi

L’osteoporosi è una patologia cronica a carico della struttura ossea che porta ad una sua maggiore debolezza e fragilità, aumentando così il rischio di fratture. Queste ultime avvengono in modo particolare in corrispondenza delle vertebre, del polso e della zona del femore in prossimità dell’anca, ma possono coinvolgere anche il bacino, le costole o il braccio.

La malattia in questione ha un’elevata rilevanza sociale in Italia, si stima infatti che 1 donna su 3 oltre i 50 anni e 1 maschio su 8 oltre i 60 anni soffra di questa problematica.

Partendo dal fatto che la perdita di tessuto osseo è un fenomeno fisiologico normale in tutte le fasi della vita, fino ai 50 anni l’attività degli osteoclasti (cellule che rimuovono tessuto osseo vecchio e danneggiato) è ben bilanciata da quella degli osteoblasti (cellule deputate alla formazione di nuovo tessuto osseo), con l’avanzare poi dell’età l’attività dei primi diventa superiore a quella dei secondi. Diventa condizione patologica quando l’attività di neoformazione è di molto ridotta rispetto alla normale funzione degli osteoclasti.

Sintomi dell’osteoporosi

Nella maggior parte dei casi la malattia non mostra segni della propria comparsa. Proprio per questo motivo viene spesso diagnosticata solo dopo una frattura, che magari si verifica in seguito a una caduta apparentemente banale, oppure in seguito ad accertamenti diagnostici su pazienti che seguono terapie con farmaci come glucocorticoidi, ormoni o immunosoppressori.

Lo sviluppo dell’osteoporosi avviene in maniera graduale e nel corso di molti anni. In casi gravi, addirittura un banale starnuto o un semplice colpo di tosse possono provocare la rottura parziale di un osso della colonna vertebrale o una frattura costale.

L’alimentazione per prevenire e arginare l’osteoporosi

L’alimentazione deve garantire il giusto apporto di vitamina D e di calcio. Per questo motivo è indispensabile seguire una dieta appropriata con un alto contenuto di queste due sostanze e anche di fosforo, a sua volta indispensabile per la prevenzione dell’osteoporosi. La relazione tra vitamina D e calcio è imprescindibile, senza buoni livelli ematici della vitamina in questione è improbabile un corretto assorbimento del calcio a livello osseo.

Entrando più nel dettaglio, è molto importante consumare alimenti ad alto contenuto di calcio come il latte e i suoi derivati (e.g. yogurt, grana, parmigiano), noci, nocciole e mandorle e frutta secca in generale, acque minerali con contenuto di calcio superiore a 100mg/litro, legumi come ceci e fagioli, e cereali integrali.

Per quanto riguarda la vitamina D, la maggior parte del nostro fabbisogno giornaliero deriva dalla sintesi cutanea di colecalciferolo da parte di un sistema enzimatico regolato dai raggi ultravioletti, per questo una regolare esposizione al sole anche di pochi minuti al giorno è altamente consigliata. A volte in assenza di una giusta e corretta illuminazione diurna, come avviene nei paesi nordici, la carenza vitaminica viene sopperita addizionando gli alimenti con vitamina D sintetica oppure integrandola direttamente.

Cosa non mangiare in caso di osteoporosi.

Non ci sono specifici alimenti da limitare o evitare, il consiglio è quello di seguire una dieta equilibrata con un corretto equilibrio di circa 50/50 tra proteine animali e vegetali oltre ad una limitazione del sale che generalmente aumenta l’escrezione di calcio con le urine. Per dieta equilibrata si intende uno stile alimentare che eviti sia il sovrappeso che il sottopeso, quest’ultimo causa infatti una maggiore perdita di tessuto muscolare che normalmente funge da sostegno all’apparato scheletrico.

Di fondamentale importanza è quindi mantenere uno stile di vita attiva promuovendo attività fisica all’aria aperta, evitando il fumo, il consumo di alcolici e quello di “Junk food” o cibo spazzatura generalmente caratterizzato da un alto contenuto di sale.

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La carne rossa fa male? Verità e falsi miti

Negli ultimi anni si è acceso il dibattito su quanto la carne rossa possa essere nociva alla salute, intendendo per carne rossa sia il prodotto fresco che quello lavorato o processato (es. salumi e insaccati). Soprattutto nel mondo occidentale, infatti, il suo consumo è molto frequente come anche non è sottovalutabile, a livello di popolazione, l’incremento dei problemi a livello cardiovascolare e la diffusione di neoplasie a livello intestinale. Si è quindi cercato di indagare scientificamente se ci fosse o no un legame tra il consumo di questo alimento e le patologie in questione. In questo articolo cercheremo di passare in rassegna verità e falsi miti sulla carne rossa.

La carne rossa fa male?

Sono in molti i consumatori che si chiedono se la carne rossa faccia male o meno. Gli esperti sono concordi nel ritenere che un consumo ridotto di questo alimento non crei alcun tipo di problema. Il problema vero e proprio nasce quando la frequenza di consumo o la “dose settimanale” è piuttosto elevata.

Nel 2015 l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha definito la carne rossa fresca come probabilmente cancerogena inserendola in classe 2A mentre ha definito quella processata come sicuramente cancerogena inserendola in classe 1. Le classi di cancerogenicità riguardano la presenza di prove scientifiche relative alla patogenicità dell’alimento; quindi, più è alta la classe più ci sono prove a sostegno della tesi.

La pericolosità delle carni rosse, nello specifico di quelle lavorate, dipende dalla presenza di molecole come nitriti e nitrati che interagendo con il nostro organismo possono creare intermediari molecolari cancerogeni come le nitrosammine. Sulle carni rosse fresche persistono sospetti relativi alla presenza di ferro eme e grassi saturi.

La carne rossa fa bene?

D’altro canto, è opportuno tenere conto del fatto che tutta la carne, e quindi anche la carne rossa, è una preziosa fonte di proteine definite ad alto valore biologico che quindi ci forniscono tutti gli amminoacidi essenziali di cui abbiamo bisogno nella nostra dieta quotidiana.

Sono presenti, inoltre, alcuni minerali come lo zinco e vitamine importanti come la B12 che è quasi esclusiva degli alimenti di origine animale ed è necessaria per l’eritropoiesi quindi per la formazione di globuli rossi oltre che per la sintesi del DNA e della mielina, la guaina che ricopre e protegge le fibre nervose.

Quanta carne rossa mangiare a settimana?

Secondo l’Harvard School of Medicine, la carne rossa dovrebbe essere consumata non più di due volte alla settimana, con porzioni al massimo di 110 grammi. Per lo IARC, invece, non bisogna superare un quantitativo di oltre 500 grammi alla settimana. Per le carni processate l’invito è quello di limitarne al massimo il consumo preferendo in ogni caso prodotti DOP senza nitriti e nitrati.

Il consiglio è comunque di discuterne con il proprio nutrizionista per valutare anche l’apporto corretto di elementi come lo zinco e la vitamina B12 considerati importanti per il benessere del corpo umano.

Come cucinare la carne rossa

Ci sono alcuni metodi di cottura da preferire rispetto ad altri nella preparazione della carne rossa. Sicuramente altamente sconsigliata è la grigliatura: alcune sostanze tossiche che si producono cuocendo alla griglia sono collegate allo sviluppo di tumori del colon, della prostata e dello stomaco, in particolare le HCA o amine eterocicliche e i PHA o idrocarburi policlici aromatici.

Anche la cottura ai ferri non è proprio indicata ma sicuramente più salutare rispetto alla griglia per minore produzione di fumi e sostanze tossiche derivate dalla combustione. Ideale però piuttosto lunga è la bollitura.

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I pericoli di un dimagrimento troppo repentino

Una perdita di peso eccessiva e troppo repentina può comportare dei rischi che vengono spesso sottovalutati. Specialmente nelle diete molto restrittive dal punto di vista calorico e carenti dal punto di vista nutrizionale, il dimagrimento può portare a una riduzione della componente muscolare della massa magra. Così, il risultato è quello di un deperimento con conseguenze estetiche negative come viso sciupato e “svuotato”, smagliature, perdita di tessuto connettivo e conseguente aspetto flaccido della pelle.

Qual è una perdita di peso ottimale a livello mensile?

Il dimagrimento in tempi rapidi causa un notevole stress al nostro organismo, sia per un discorso prettamente calorico che, come accennato precedentemente, per una questione di scadente qualità nutrizionale. Ciò comporta spesso e volentieri una perdita di tessuto connettivo e di muscolo oltre che di acqua senza che il grasso in eccesso venga eliminato. Una perdita di peso ottimale è di 3 chili al mese, e comunque non superiore ai 4 chili almeno per le persone in sovrappeso e con obesità di primo grado; nei grandi obesi la perdita iniziale può essere anche maggiore in quanto c’è una maggiore e sproporzionata quantità di liquidi in eccesso che vengono inevitabilmente eliminati. La migliore dieta è quella che consente di ridurre unicamente il grasso corporeo.

Differenza tra dimagrire e perdere peso

Quando si parla di dimagrire si fa riferimento alla riduzione della quantità di grasso corporeo sia di quello viscerale che di quello sottocutaneo non essenziale. Non è detto, però, che la riduzione di peso corrisponda al dimagrimento, infatti, nei dimagrimenti qualitativamente scadenti si registra una riduzione maggiore di muscolo e connettivo rispetto al grasso. Può capitare per esempio che a fronte di una perdita di peso di 5 kg siamo riusciti ad avere un dimagrimento, quindi perdita di grasso, di solo 1 kg; inoltre, per fare un altro esempio e anche per sfatare molti luoghi comuni, l’ipotetico dimagrimento che si registra dopo una sauna o dopo una giornata di digiuno non è altro che riduzione di peso dovuta solo ad una perdita eccessiva di liquidi.

Perché perdere peso velocemente fa male

Perdere peso velocemente e male non apporta sicuramente benefici da un punto di vista fisico e può avere ripercussioni negative in termini di benessere psicologico. Fisicamente oltre a un problema estetico possiamo avere delle conseguenze metaboliche e organiche piuttosto serie, invece psicologicamente, ripetuti dimagrimenti eccessivi portano ad un inevitabile effetto yo-yo che spesso e volentieri conduce a sentimenti di frustrazione e senso di colpa. Più raramente e per fortuna, queste restrizioni alimentari sfociano in disturbi del comportamento alimentare sotto forma di bulimia e anoressia.

L’importanza di farsi seguire da un professionista

Risultano evidenti, dunque, i motivi per i quali è molto importante farsi seguire da un professionista della nutrizione che tramite un piano alimentare adeguato possa garantire un corretto dimagrimento. È indispensabile, in particolare, ricorrere a una dieta personalizzata, quindi studiata su misura, che garantisca il corretto fabbisogno di carboidrati, proteine, grassi, oltre che di micronutrienti. La strategia alimentare ideata dal professionista deve essere sicuramente ipocalorica, capace di preservare la massa muscolare, e il corretto approvvigionamento di macro e micronutrienti deve essere definito ed eventualmente ricalcolato o rivalutato durante il percorso dietetico.

Criticità estetiche

Anche se perdere peso è spesso la soluzione ideale per ottenere un miglioramento estetico, farlo in maniera drastica porta inevitabilmente, come detto a inizio articolo, a trovarsi con il viso “svuotato”. Questo si concretizza in guance flaccide e scavate che conferiscono un aspetto sciupato e invecchiato. Il modo per far fronte a questa eventualità è il lifting facciale, ma non è un intervento da poco e soprattutto prevede tempi di recupero importanti e non sempre affrontabili.

 

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Menopausa e peso: come evitare di ingrassare

La menopausa è quella condizione fisiologica che si instaura nella vita delle donne generalmente a partire dal 50° anno d’età e che comporta la fine della fertilità e l’inizio di una nuova fase che non solo causa dei cambiamenti di tipo metabolico e ormonale ma anche di tipo psicologico. Questi cambiamenti si manifestano in maniera graduale già da qualche anno prima (periodo di premenopausa) e non sempre vengono accettati dalla donna che spesso si abbatte e non li affronta nel giusto modo. Si rende necessario, perciò, adottare delle sane abitudini alimentari e di vita capaci di contrastare quello che è l’incubo di molti e cioè la facilità di mettere chili in più. Vediamo come fare.

Cosa succede al corpo in menopausa

Durante la menopausa nel corpo femminile si verifica una diminuzione graduale e consistente nella produzione di estrogeni, ormoni, questi ultimi, che incidono sulla funzione cardiovascolare, osteoarticolare e neurologica. Un loro calo porta a conseguenze non sottovalutabili come vampate di calore, sudorazioni profuse, palpitazioni e tachicardia, sbalzi della pressione arteriosa, disturbi del sonno, irritabilità, umore instabile, ansia, disturbi della concentrazione e della memoria, diminuzione del desiderio sessuale. Aumenta quindi il rischio cardiovascolare (infarto, ictus, ipertensione) e la possibilità di andare incontro a processi osteoporotici.

La carenza di questi ormoni condiziona negativamente la funzione tiroidea e il mantenimento del tono muscolare con la diretta conseguenza che si tende ad accumulare grasso più facilmente, soprattutto sulla zona addominale rispetto ai fianchi. Ovviamente per le donne che prima della menopausa hanno acquisito già delle sane abitudini di vita e di alimentazione l’aumento di peso si verificherà molto più raramente rispetto a chi invece ha condotto una vita prevalentemente sedentaria.

Perché si ingrassa in menopausa e come evitarlo

Proprio in relazione ai cambiamenti ormonali accennati prima, accade dunque che il metabolismo rallenti a causa della diminuzione del tono muscolare e che la fame nervosa aumenti per meccanismi psicologici di compensazione, ne consegue una notevole facilità a mettere su del grasso corporeo. Questo processo è però contrastabile, ci sono infatti molte armi a tua disposizione, sicuramente un’attività fisica mirata e costante capace di stimolare la muscolatura e di innalzare il metabolismo e un miglioramento dell’alimentazione non tanto in termini quantitativi ma qualitativi.

C’è anche da dire che non tutte le donne ingrassano in menopausa e questo significa che più che la menopausa in sé è spesso come la si affronta a determinare lo spostamento in su dell’ago della bilancia.

Perché rivolgersi ad un nutrizionista in menopausa

Il professionista della nutrizione, in particolare il biologo nutrizionista, può aiutarti a mettere in pratica i buoni propositi quindi consigliarti la strada giusta da intraprendere a livello alimentare. Ti aiuterà sicuramente a far luce sui corretti valori nutrizionali, sugli alimenti più adatti da consumare oltre a darti differenti consigli su come affrontare questo delicato periodo della vita.

In generale, se volessi già mettere in pratica qualche consiglio, sarebbe bene limitare l’assunzione di zuccheri semplici, aumentare il consumo di verdure e ortaggi che sono ricchi di vitamine A, C e K, includere nella propria dieta i legumi ricchi di fitosteroli e fitoestrogeni, incrementare l’utilizzo di cibi che contengono acidi grassi omega 3 come pesce e frutta secca, utili per sostenere la funzione cognitiva e antinfiammatoria. Prediligere, inoltre, i cereali integrali per il loro alto contenuto in fibra ed aumentare il consumo di proteine, utili queste ultime per il mantenimento della massa magra. Ovviamente questi sono solo alcuni dei tanti consigli alimentari che dovrebbero essere messi in pratica, a questi vanno associati buone abitudini di vita come smettere di fumare, evitare il consumo di alcolici e praticare attività fisica per almeno mezz’ora al giorno (basta anche una camminata veloce). In questo modo gli effetti collaterali della menopausa verranno ridimensionati e sarà quindi più facile affrontare questo periodo cruciale della propria vita.

 

 

 

 

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Alimenti e integratori antiage: ecco quali sono i migliori alleati della tua giovinezza

Nella lotta contro l’invecchiamento della pelle e delle cellule l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale: scegliere i cibi giusti rappresenta infatti la migliore strategia per rallentare l’ossidazione cellulare, e di conseguenza ottenere un effetto anti-aging contrastando i radicali liberi. Accanto alla scelta degli alimenti più adatti va inoltre affiancata un’integrazione con sostanze capaci di accentuare questo processo “protettivo”. Vediamo allora quali sono i cibi e gli integratori che si rivelano perfetti alleati della tua giovinezza.

Legumi e frutta oppure ortaggi di color arancio e rosso per un pieno di minerali e vitamine

Generalmente alla base di un processo di invecchiamento cellulare vi è una condizione infiammatoria, per questo un’alimentazione ad hoc deve basarsi sulla presenza di sostanze sia antinfiammatorie che antiossidanti

Una posizione di tutto rispetto la occupa il pesce azzurro, infatti, pesci come sgombro alici e sardine oltre al ben noto salmone contengono una grande quantità di omega-3 in particolare DHA, acido grasso essenziale il cui ruolo a livello fisiologico è quello di sostenere la cascata metabolica che porta alla formazione di sostanze antinfiammatorie nel nostro organismo. Sempre facenti parte della categoria omega-3 vi sono anche gli EPA che oltre alle fonti citate sopra possiamo trovare anche nei semi di lino, di chia o di girasole oltra a frutta secca come noci, nocciole, mandorle e pinoli.

Tra le sostanze antiossidanti consideriamo invece vitamine come la A (carotenoidi), C ed E (tocoferoli), minerali come zinco, selenio, rame e altre molecole come polifenoli, licopene, acido lipoico, coenzima Q10.

Per esempio, cereali soprattutto integrali sono un’ottima fonte di zinco, selenio e tocoferoli, quindi ampio spazio nella nostra dieta a pasta integrale, riso nero, grano saraceno e farro per dirne alcuni. Le verdure, in particolare pomodori, rucola, spinaci e in generale quelle a foglia verde sono ricche in vitamina C. La frutta è una miniera di vitamine e di sostanze ad azione antiossidante, in particolare agrumi, frutti di bosco, albicocche e kiwi.

I legumi e in maniera specifica la soia sono ricchi in polifenoli, soprattutto isoflavoni che hanno tra l’altro un’azione modulatoria il metabolismo di ormoni come gli estrogeni.

Sempre riguardo ai polifenoli che includono molecole come flavonoidi, quercetina, isoflavoni, catechine, sarebbe opportuno arricchire la nostra dieta con alimenti che ne contengono in quantità significativa come cioccolato fondente, olio di oliva, the verde, cipolle, polline.

Menzione speciale per la vitamina E, potente antiossidante i cui principali rappresentanti nel mondo alimentare sono semi di girasole, frutta secca (mandorle, noci e nocciole), olio extravergine di oliva e avocado.

Accanto ad una giusta alimentazione va affiancata l’assunzione di integratori mirati

Mangiare bene è dunque essenziale per rallentare il processo di invecchiamento cellulare. Accanto ad una giusta alimentazione però non va dimenticata un’integrazione con sostanze mirate. Esistono in commercio molti integratori che servono a questo scopo. Qui vogliamo suggerirti i più adatti in tal senso.

Integratori di collagene idrolizzato

Tra gli integratori più importanti da assumere per rallentare l’invecchiamento di pelle e capelli, ci sono sicuramente gli integratori di collagene idrolizzato. Il collagene è una sostanza che l’organismo umano produce spontaneamente fino ai 25 anni, dopodiché la produzione rallenta fino a fermarsi. Già dopo i 30 anni si va in deficit di collagene se non si corre ai ripari. Visto che con l’alimentazione non si riesce a ripristinare i valori, è necessario ricorrere ad un integratore. Gli integratori, infatti contengono aminoacidi specifici e vitamina C che hanno la capacità di stimolare la produzione di collagene endogeno. In commercio vi sono molti integratori a base di collagene idrolizzato (cioè sottoposto ad idrolisi, e quindi reso digeribile ed assimilabile) da assumere in bustine ogni giorno per almeno tre mesi per avere buoni risultati.

Integratori di vitamine e Acido Ialuronico

Dei benefici delle vitamine ne abbiamo parlato precedentemente soprattutto in un’ottica di funzione anti-aging e quindi di contrasto dei radicali liberi. Spesso e volentieri una delle integrazioni di supporto più consigliate è quella con Acido Ialuronico, sostanza già presente e prodotta nel nostro organismo e che si trova principalmente nel tessuto connettivo. Spesso l’età e gli squilibri alimentari ne condizionano negativamente la sintesi endogena, perciò, un’integrazione a riguardo può salvaguardare l’elasticità della pelle prevenendo rughe e i segni del tempo sul viso.

Integratori di Coenzima Q10

Assumere un integratore di Coenzima Q10 significa intervenire contro le rughe in maniera potente. Questo coenzima agisce infatti sugli importantissimi e fondamentali processi di ossidazione cellulare, impedendo lo sviluppo di radicali liberi e inibendo i processi infiammatori che condizionerebbero l’attività energetica dei mitocondri. In questo modo i tessuti avrebbero sempre nuova linfa vitale, rigenerandosi dall’interno e facendo apparire la pelle più giovane ed elastica.

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Pausa estiva 2022

Gentili visitatori si comunica che lo studio nutrizionale del dottor Mauro Meloni rimane chiuso dall’8 al 18 agosto compresi.

Richieste di informazioni ed appuntamenti verranno evase dopo il 18 agosto.

 

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I legumi nella dieta

I legumi sono alimenti di fondamentale importanza per la salute e il benessere di tutti: questo è il motivo per cui dovrebbero essere consumati non meno di 2 o 3 volte alla settimana. Proviamo a capire il perché.

Perché introdurre i legumi nella dieta

Introdurre i legumi nella dieta vuol dire incrementare l’assunzione di vitamine, fra le quali soprattutto quelle che appartengono al gruppo B, che sono essenziali dal punto di vista del metabolismo energetico. I legumi sono anche ricchi di zinco, di calcio e di ferro. Essi aiutano a prevenire sia le patologie cardiovascolari che quelle tumorali; hanno, inoltre, un ridotto indice glicemico, e per questo sono adatti alla dieta dei diabetici. Inoltre, non contengono glutine, il che vuol dire che possono essere mangiati dai celiaci.

Valori nutrizionali e benefici dei legumi

I legumi meritano di essere considerati un antiossidante naturale molto potente, grazie alla presenza di acido fitico e di flavonoidi. Ecco perché dovrebbero essere consumati in maniera regolare, così da contrastare i processi di invecchiamento e degenerativi che scaturiscono dalla presenza di radicali liberi. In più, i legumi contribuiscono a tenere il colesterolo sotto controllo, per effetto delle saponine e della lecitina di cui sono composti: sostanze che svolgono un’azione chelante, il che significa che l’intestino assorbe in misura limitata i trigliceridi, che così possono essere smaltiti più facilmente. Ogni 100 grammi di legumi, 78 sono rappresentati da fibre. Per quel che riguarda i minerali, 100 grammi di prodotto fresco contengono 2 milligrammi di ferro, mentre nei legumi secchi questo valore si moltiplica per 3.

Quali legumi prediligere

Ma quali sono i legumi da privilegiare? Le possibilità di scelta sono numerose, e si spazia dai fagiolini alle fave, dai ceci alle lenticchie, dai piselli ai fagioli. In tutti i casi si può essere certi di assumere un notevole quantitativo di fibra, con effetti benefici per l’organismo. I piselli, inoltre, sono molto ricchi di acqua, e per questo il loro potere calorico è più basso di quello della maggior parte degli altri legumi. Le lenticchie costituiscono una eccellente fonte di proteine, di potassio e di fosforo, ma soprattutto di isoflavoni, da cui scaturiscono proprietà antiossidanti.

Quanto frequentemente consumare i legumi

 I legumi dovrebbero essere consumati almeno 2 o 3 volte alla settimana. Il consiglio è di assumerli insieme con i cereali, per un apporto proteico ottimale. Ecco perché un primo piatto come la pasta e fagioli, pur molto semplice, è perfetto dal punto di vista nutrizionale; e lo stesso dicasi per il riso con i piselli.

Come evitare gli effetti indesiderati dei legumi

Come noto, i legumi possono irritare il colon causando fenomeni di meteorismo. La colpa è della cuticola esterna, caratterizzata da una struttura complessa. Per evitare ogni effetto indesiderato, è consigliabile usare un passaverdura con il quale la cuticola potrà essere triturata in parti di dimensioni ridotte. Così, nel momento in cui l’intestino sarà raggiunto dalla fibra, questa risulterà digerita almeno in parte. In alternativa, è sufficiente comprare i legumi già decorticati.

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Tutto sul Kefir

Il Kefir, conosciuto anche come kefyr o kephir, è un latticino fermentato. Per realizzarlo si possono usare il latte di capra, il latte di pecora o il latte di vacca. È composto da acqua, proteine, grassi e zuccheri; le proteine sono facili da digerire in virtù della proteolisi della fermentazione.

Che cos’è il Kefir

Il Kefir è un derivato del latte, e viene ritenuto un latticino perché non si produce con la coagulazione delle proteine caseine: insomma, fa parte della stessa categoria della panna, del burro, della ricotta e dello yogurt. Il prodotto viene realizzato a partire da granuli che vengono messi in incubazione con dell’acqua o con del latte, frutto di una particolare miscela di lieviti e di batteri. In base alle caratteristiche del latte che viene utilizzato, le caratteristiche organolettiche e i valori nutrizionali del Kefir cambiano; altri parametri importanti in tal senso sono le condizioni di conservazione, la temperatura di fermentazione, il tempo di fermentazione e la composizione dei grani dal punto di vista microbiologico.

Proprietà e benefici del Kefir

Il Kefir viene ritenuto una fonte ottimale di calcio, di fosforo, di proteine ad elevato valore biologico e di vitamine, nello specifico del gruppo B. La quantità di colesterolo e di grassi saturi è ridotta. La differenza fra i fermenti lattici dello yogurt e i batteri lattici del Kefir sta nel fatto che i secondi arrivano all’intestino attivi e vivi: questo è il motivo per il quale hanno un effetto benefico nei confronti del microbiota intestinale e del suo equilibrio. In più, la fermentazione dello yogurt è quasi solo lattica, mentre la presenza dei lieviti nel Kefir fa sì che essa sia anche alcolica. Ecco perché il Kefir è parzialmente effervescente.

Effetti collaterali e controindicazioni

Gli effetti collaterali e le controindicazioni che derivano dal Kefir sono dovuti al fatto che si tratta di una bevanda fermentata. Ecco, quindi, che in alcuni casi le persone che hanno un sistema digestivo piuttosto delicato rischiano di dover fare i conti con problemi come:

  • I crampi
  • Il battito cardiaco irregolare
  • La diarrea
  • La costipazione.

Il Kefir è controindicato per le persone che soffrono di diabete, dal momento che, pur avendo un indice glicemico ridotto, si caratterizza per un alto punteggio insulinemico. In altri termini, per chi ha il diabete mangiare il Kefir è come mangiare il pane bianco. Questo può essere ancora più vero nel caso del Kefir confezionato, che a volte viene addolcito con lo zucchero.

Come consumare il Kefir

Il Kefir deve essere consumato freddo, fresco e crudo; in molti casi viene abbinato con la frutta o con il miele. Da questo punto di vista, quindi, è molto simile allo yogurt, con il quale condivide anche molteplici peculiarità di tipo gustativo e di natura organolettica. Il Kefir non rientra nella nostra tradizione culinaria, ma è un valido sostituto della ricotta o di altri latticini. Vi si può ricorrere anche per rendere più saporite le insalate, per esempio di pomodoro o di cetriolo.

credits immagine kefiritalia.it

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Senso di sazietà: tutto ciò che c’è da sapere

Che cos’è il senso di sazietà?

Quando si parla di senso di sazietà è opportuno prendere in considerazione anche l’opposta sensazione ovvero quella di fame, ciò infatti consente di spiegare al meglio il meccanismo che sta alla base di esse.

L’insorgenza dell’una o dell’altra condizione è regolata a livello dell’ipotalamo, una regione del nostro cervello a cui afferiscono alcuni specifici ormoni provenienti dai tessuti periferici in particolare intestino, stomaco, pancreas e adipociti. L’ipotalamo si comporta quindi da centro regolatore che in risposta a questi segnali ormonali attiva differenti vie neuronali, alcune con azione oressigena che portano quindi ad assumere cibo e altre con azione anoressigena che invece ne inibiscono l’assunzione.

La risposta ipotalamica sarà sempre quindi volta a ripristinare la condizione omeostatica di partenza e l’equilibrio metabolico necessario per il corretto funzionamento del nostro organismo.

Non sempre però la risposta è adeguata, infatti particolari condizioni metaboliche come sovrappeso e obesità come anche alcuni stati fisiopatologici rendono difficile il ripristino della condizione ideale; risulta necessario, perciò, ricorrere ad alcune strategie alimentari, di cui parlerò successivamente, che permettono una migliore gestione del senso di sazietà e di fame e questo per non incorrere in ulteriori complicazioni come il classico aumento di grasso corporeo o, in senso opposto, una diminuzione eccessiva del peso.

Meccanismo

Per meglio comprendere il meccanismo che porta al senso di sazietà e di fame facciamo un esempio piuttosto elementare ponendoci una domanda: cosa ci porta ad aprire lo sportello del frigorifero di casa nostra? Rimanendo in ambito prettamente fisiologico ci sono due fattori scatenanti, il primo segue la teoria glucostatica, il secondo la teoria lipostatica.

Secondo la prima teoria bassi livelli di glucosio nel sangue o una deplezione abbastanza importante di glicogeno epatico e muscolare hanno come conseguenza una minore produzione di insulina con conseguente aumento della secrezione di grelina, ormone quest’ultimo prodotto sia dalle cellule P/D1 del fondo dello stomaco che dalle cellule epsilon pancreatiche, è che possiamo definire volgarmente ormone della fame. La grelina una volta raggiunto l’ipotalamo stimola una risposta oressigena che ci porta a contrastare questa sensazione di fame aprendo appunto lo sportello del frigo. Una volta che il nostro spuntino è terminato si verifica un aumento di ormone insulina e una diminuzione dell’ormone grelina. A tutto ciò si aggiunge una maggior produzione di leptina, o volgarmente chiamato ormone della sazietà, da parte delle cellule adipose o adipociti in risposta all’aumento di insulina. Si innesca così la risposta anoressigena che ripristina la condizione omeostatica di partenza.

L’altra teoria invece considera le nostre riserve lipidiche; in condizioni di carenza di massa grassa (e.g. individui molto magri) o di consumo eccessivo di grassi (e.g. digiuni prolungati) le cellule adipose o adipociti considerando anche inferiori livelli di insulina nel sangue, secernono meno leptina, questa minore produzione viene interpretata come una minaccia dal nostro organismo che attiva perciò a livello ipotalamico la solita via oressigena che porta ad aprire nuovamente lo sportello del frigo. Il successivo aumento di insulina porta ad una maggiore produzione di leptina innescando così il senso di sazietà e la risposta anoressigena.

Quali sono gli ormoni della sazietà?

Come abbiamo visto, i 3 ormoni sopracitati e cioè grelina, insulina e leptina sono intimamente connessi tra di loro, eppure non sono le uniche molecole che partecipano alla modulazione del senso di sazietà e di fame. Un elenco anche se non esaustivo può farci comprendere quanti sono questi mediatori chimici.

Mediatori chimici e nervosi con funzione anoressizzante o anoressigena (e.g. diminuzione dell’appetito e aumento del senso di sazietà):

  • Leptina
  • Insulina
  • CCK o colecistochinina
  • CART o cocaine-anphetamine-regulated-transcript
  • Enterostatina
  • PYY o peptide YY
  • a-MSH o ormone alfa-melanostimolante

Mediatori chimici e nervosi con funzione oressigena (e.g. aumento dell’appetito e del senso di fame):

  • Grelina
  • NPY o neuropeptide Y
  • Orexine o ipocretina
  • MCH o ormone concentrante la melanina
  • Galanina

Aumentare il senso di sazietà

Abbiamo parlato precedentemente di possibili anomalie che si possono riscontrare nel rispristino della condizione di equilibrio del sistema fame/sazietà. Alcune di queste anomalie hanno una componente di tipo psicologico, per esempio in caso di anoressia, e altre di tipo fisio-patologico come in caso di sovrappeso e obesità.

Riguardo a quest’ultimo caso, infatti, risulterebbe logico pensare che in presenza di una quantità importante di massa grassa la leptina circolante sia sempre elevata e quindi l’individuo obeso non necessiti di una frequente e abbondante assunzione di cibo per saziarsi. In realtà molti studi scientifici hanno ormai accertato che seppur la leptina sia presente, questa non basta a innescare la risposta anoressigena a causa di un meccanismo di resistenza alla leptina molto simile a quello di insulino-resistenza tipico dei soggetti diabetici. In pratica elevate concentrazioni di leptina circolante “abituano” i recettori ipotalamici che necessitano di sempre maggiori quantità di ormone per poter instaurare un’adeguata risposta fisiologica di contrasto. Inoltre le diete ipocaloriche a cui spesso si sottopongono queste persone possono amplificare la problematica.

Risulta perciò necessario impostare delle strategie alimentari volte ad avere un controllo più efficiente del senso di fame o a determinare con facilità un raggiungimento del senso di sazietà. Alcune strategie possono essere le seguenti:

  • Mantenere stabile la glicemia durante la giornata, per esempio spuntini e merende tra i pasti principali hanno l’utilità se fatti correttamente di regolare la glicemia durante la giornata evitando di sopraggiungere ai pasti in condizioni di ipoglicemia e quindi con una sensazione di fame smisurata.
  • Cercare di rispettare un buon tenore proteico durante la giornata considerando che le proteine facilitano il raggiungimento della sazietà nel breve periodo.
  • Riempire lo stomaco con alimenti a bassa densità energetica che oltre ad una componente proteica dovrebbero avere anche un alto contenuto di fibre e di acqua.
  • Masticare lentamente dal momento che i primi segnali di sazietà arrivano all’ipotalamo dopo circa 20 minuti; mangiare con velocità porta facilmente ad assumere altro cibo.
  • Ridurre gli stress esterni di tipo sociale, lavorativo ecc. che portano ad assumere cibo solo per consolazione o gratificazione.
  • Consumare alimenti con moderato e/o basso indice glicemico tipo pasta integrale, frutta come kiwi o pesche o frutti di bosco, cereali integrali per prima colazione, yogurt, legumi come fagioli, ceci o lenticchie, frutta secca come noci e mandorle, latte.
  • Evitare in caso di fame eccessiva di consumare cibi particolarmente ricchi di grassi in quanto i grassi vengono digeriti più lentamente e posticipano di conseguenza il senso di sazietà.
  • Prima di coricarsi e qualora si avverta sensazione di fame consumare un bicchiere di latte parzialmente scremato o uno yogurt così oltre a riposare meglio si evita di svegliarsi la notte in preda ad attacchi di fame.
  • Prima di andare a cena fuori fare un piccolo spuntino un’ora prima di uscire, si evita così di mangiare troppo e le scelte alimentari saranno più equilibrate e non condizionate da uno squilibrato senso di fame.

Perdita di appetito e precoce senso di sazietà

Un aspetto molto differente riguarda la perdita di appetito o inappetenza come anche l’instaurarsi di un precoce senso di sazietà. Dalla mia esperienza ambulatoriale posso dire che queste sensazioni si presentano soprattutto in individui anziani o anche in soggetti con condizioni psico-patologiche particolari come ansia, stress e depressione. Non di rado la concomitanza di condizioni patologiche di tipo oncologico o immunitario può portare a questa sensazione precoce di pienezza che a seconda dei casi può essere transitoria o durevole.

L’esito di una simile condizione può essere una perdita di peso e nello specifico una riduzione della massa metabolica che si traduce principalmente in un abbassamento delle difese immunitarie e un invecchiamento precoce.

Anche in questo caso le seguenti strategie potrebbero risultare utili, meglio però se applicate da soggetti normopeso o sottopeso:

  • Preferire alimenti molto calorici come carne, pesce grasso e uova.
  • Mangiare quando si ha fame senza aspettare gli orari canonici dei pasti principali, anche con pasti piccoli ma frequenti.
  • Avere sempre a disposizione uno spuntino come cracker, frutta secca o frutta calorica come una banana, per esempio, o barrette a base di cereali.
  • Fare un aperitivo con un bicchiere di vino poco prima dei pasti può stimolare l’appetito.
  • Cercare di assumere liquidi con sostanze nutritive come succhi di frutta, latte o minestre.
  • Non bere troppo durante i pasti in quanto la dilatazione dello stomaco porterebbe portare a un precoce senso di sazietà.
  • Preparare piatti invitanti e originali in cui ci sia gusto e sapore e magari circondati di persone con cui condividere in armonia questi momenti.
  • Fare dell’attività fisica prima di uno dei pasti principali può essere inoltre un’ottima strategia per stimolare l’appetito.
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La casa come ambiente “obesogeno”

Alcune strategie per limitare i rischi

La casa è definito ambiente “obesogeno” per tanti motivi, alcuni dei quali sono:

  • facilità nel reperire “junk food” come patatine, merendine, creme al cioccolato, bevande zuccherine, dolci grassi, caramelle, ecc.., condizione ancor più facilitata se in famiglia ci sono figli o conviventi o coinquilini in generale che usano abitualmente questo genere di alimenti;

  • televisione, che comporta anche un divano o una poltrona dove sedersi, e di conseguenza immobilità e poco esercizio fisico e mentale;

  • noia, generata spesso da assenza di svaghi o hobby o attività ricreative, che porta inevitabilmente a cercare un “diversivo” alimentare che il più delle volte riporta al punto 1;

  • atteggiamento passivo, spesso presente in realtà abitative prive di spazi verdi o di luoghi sociali di incontro o di palestre oppure che si rafforza in presenza di condizioni climatiche sfavorevoli; la casa diventa così un luogo per noi “sicuro e riparato” ma che spesso ci riporta ai punti 1, 2 e 3.

Come reagire o che strategie utilizzare per rompere questa routine poco salutare e dannosa?

  • Pulizia della casa dai fattori di rischio, junk food in particolare. Solo il gesto di eliminarli ci libera mentalmente da una schiavitù e da una dipendenza psicologica. Mangiare creme al cioccolato (senza citare note marche commerciali) non risolve sicuramente i nostri problemi, non stimola alcuna “endorfina del benessere” e ci crea solo ulteriori problemi fisici e di salute.
    C’è qualcuno in casa che non è d’accordo? Eliminandoli (i prodotti intendo!) diamo un buon esempio e facciamo della buona prevenzione in ambito familiare.

  • Spegnere la televisione soprattutto durante i pasti principali o accenderla il meno possibile giusto il minimo per restare un po’ aggiornati su cosa accade nel mondo o se proprio non possiamo rinunciare va bene anche tenerla accesa come sottofondo quando ci impegniamo in altre attività come cucinare o sperimentare piatti nuovi e sani, oppure, perché no, mentre pratichiamo un po’ di attività fisica.

  • Dedicarsi agli hobby preferiti, scoprire nuove potenzialità artistiche. Teniamo allenata la mente! L’attività mentale ci consente di bruciare più calorie di quel che pensiamo e sicuramente di più che stare a guardare passivi un rettangolo illuminato.

Anche in casa, se siamo ben motivati, possiamo organizzarci per praticare un po’ di attività fisica, bastano 20 minuti al giorno e sicuramente “l’effetto appagante” è migliore di una crema al cioccolato! Dedichiamoci con serenità, coscienza e senza distrazioni agli atti più importanti della nostra vita come mangiare sano, allattare i figli, fare l’amore e tenerci in forma. L’immobilità, la sedentarietà e la passività nei confronti della vita sono il nostro peggior nemico!

“Negli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?. E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato”

Steve Jobs

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